Il libro è l’esito di una ricerca sul possibile significato dei pozzi sacri sardi e sulla cultura che li ha prodotti di cui si sa pochissimo, anche per il fatto che non si hanno testimonianze scritte.
Sono monumenti maestosi che si sviluppano sotto il livello del suolo, ma l’ipotesi che ho proposto è che si tratti di veri e propri templi. Bachofen scrisse che per comprendere i culti dell’antichità la via più sicura è interrogare la forma dei monumenti, avvicinarci attraverso i significati resi dalle geometrie e dalle architetture.
Studiando questi monumenti, osservando le loro forme, mi sono fatta l’idea che ci troviamo di fronte, forse, al più importante documento che attesta l’esistenza di una religione materna. Se ne è parlato molto ma si è spesso liquidato l’argomento come frutto di una fervida immaginazione femminista.
Ma forse nel caso della Sardegna si può veramente parlare della presenza in epoca nuragica (o verso la fine della civiltà nuragica), di una vera religione con propri templi, una propria architettura e i suoi simboli. In questo libro studio il pozzo sacro, che appare ai miei occhi come un santuario o un tempio dove si entra attraverso un’apertura ampia da cui parte una lunga scala che discende e porta ad una stanza a forma di ampolla sul cui fondo c’è acqua perenne.
In Sardegna esistono molte decine di santuari fatti esattamente nello stesso modo. Dal terreno si alzano due muri laterali entro cui scende, dapprima larga poi più stretta, la scala sacra da cui scendevano gli officianti per recarsi alla stanza ipogea dell’acqua. Dopo molte osservazioni sul significato dei simboli, usando molto materiale fotografico anche aereo, mi sono fatta l’idea che il pozzo sacro è solo l’elemento centrale di un complesso architettonico che rappresenta il genitale femminile. Vi sono attorno le grandi labbra, all’interno le piccole labbra, il clitoride, poi l’ingresso alla vulva con la scala sacra che porta alle acque eterne dell’utero.
Saremmo di fronte ad una vera propria chiesa femminile totalmente diversa da quella dei culti solari, ziggurath o piramidi, o del tempio greco su colonne, o della basilica romano cristiana.
In questo libro avanzo l’ipotesi che la divinità qui sia le terra stessa, la dea terra e che questi templi rappresentino i genitali della dea che danno accesso al corpo divino e salvifico scendendo la scala sacra e attingendo all’acqua di vita.
Se l’ipotesi è corretta, siamo di fronte ad una vera e propria religione della terra strutturata con un complesso architettonico di grandi templi che rappresentano i suoi genitali attraverso i quali gli esseri umani possono entrare nel corpo salvifico della dea ed entrare in comunione con essa.
Poi questa religione è stata soffocata, distrutta sia dai Punici che dai Romani e infina dal cristianesimo che ha costruito chiese sui luoghi dei pozzi sacri e dato nomi di sante ai siti, cercando di far dimenticare il culto delle acque che la chiesa non riusciva in alcun modo a estinguere incorporandolo nella religione cattolica. E in effetti tutto quanto deve essere avvenuto, anche con grande spargimento di sangue, ci ha addirittura reso incomprensibile il significato di quanto era sotto i nostri occhi.
D’altronde ancora oggi, nel senso comune, il sesso femminile è trattato come qualcosa di sporco, di informe, di osceno, di brutto. Il luogo nascosto che la donna non deve mostrare a nessuno, nemmeno a te stessa. Molte donne infatti considerano brutti, repellenti i propri genitali.
Ma vi sono state civiltà arcaiche in cui non era cosi. Nel poema mesopotamico sulla dea Inhanna, una delle più antiche produzioni poetiche risalente al tremila a C. la dea mostra al mondo appena nato lo splendore della sua vulva creatrice di vita
“Si appoggiò al tronco del melo, mentre era cosi mollemente appoggiata la sua vulva era splendente a vedersi. Esultando dello splendore della propria vulva la giovane Inhanna si compiacque con se stessa”
(La grande dea, Red Edizioni, 1987).
La dea si compiace della bellezza della sua vulva e della sua potenza generativa. E forse anche i pozzi sacri sardi esaltavano il miracolo della fecondità.